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6 febbraio 2011

Lost in translation

Nel 2003, Sofia Coppola ha scritto e diretto (magistralmente) questo film comicamente drammatico, con un bravissimo Bill Murray e una giovane Scarlett Johansson.

Lui è un attore di mezza età in declino, costretto a fare pubblicità televisive, prigioniero del suo lavoro e del suo matrimonio privo ormai di stimoli: lei invece si è laureata in filosofia, con poche prospettive lavorative ed è diventata da poco la moglie di un giovane fotografo sempre preso dagli impegni e che non si occupa molto di lei. La solitudine è uno dei temi centrali del film, e la vicenda dei due protagonisti afflitti dai loro matrimoni in pezzi, dall’ansia lavorativa e dalla crisi di mezza età, si incrocia al bar di un hotel di Tokyo. La città è vista come totalmente aliena dai due protagonisti, che sono americani, e l’albergo diventa il loro sancta sanctorum. Giorno dopo giorno, essi si ritrovano nella hall a discutere sulle loro vite, e poi a tentare di movimentarle per quanto possibile. Ma alla fine tutti e due, pur attratti, devono rendersi conto che la loro parentesi giapponese non sarà eterna.

Dialoghi ridotti al minimo, cinica comicità di un Murray da manuale che fa più che sorridere, Lost in Translation è un film permeato da una certa malinconia e pessimismo cosmico, che racconta semplicemente una settimana della vita dei protagonisti senza occuparsi del prima e del dopo (basti vedere il finale). Un film che non si occupa di far riflettere, come non si occupa di intrattenere, ma piuttosto di fare vivere in 2 ore la settimana di una persona di 50 anni e una di 20 in una città straniera. Persi, appunto, nella traduzione.

Giudizio: buon film.

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